COMUNICATO STAMPA DEL 10 LUGLIO 2020


Il Comitato Madri Unite contro la Violenza Istituzionale denuncia come da molti anni si stia assistendo alla sistematica rivittimizzazione delle donne e dei bambini vittime di violenza domestica ad opera delle istituzioni che si fregiano di agire a “tutela” di queste vittime, anni in cui abbiamo osservato e analizzato le criticità che non solo impediscono di tutelare queste vittime, ma che addirittura rinforzano gli argomenti dei violenti, i loro obiettivi di controllo e punizione della libertà delle donne e dei bambini che hanno osato denunciare la violenza e preteso di vivere lontani da questa.

Ancora oggi, infatti, nonostante la legge sullo stalking, il Codice rosso e la ratifica della Convenzione di Istanbul le donne faticano a far riconoscere la violenza diffusa di cui sono oggetto: le loro denunce sono spesso archiviate senza neppure indagare perché considerate di default pretestuose, e ancora sono loro insieme ai loro bambini ad essere imprigionate nelle case rifugio e a subire un “congelamento” della loro vita e quella dei loro bambini, passando dal controllo del violento a quello delle istituzioni a tempo indeterminato.

Quella stessa violenza che le statistiche continuano a rilevare come un diffuso flagello che non accenna a diminuire, nel corso dei procedimenti di “tutela” e giudiziari per l’affidamento dei figli minori, arriva a dileguarsi e diventare invece un atto di accusa feroce contro chi cerca di proteggere se stessa e i propri figli: le madri.

Rileviamo l’incapacità della politica di inquadrare il fenomeno della violenza contro le donne: il potere patriarcale, da sempre, si basa sul controllo dei corpi di donne e bambini che vengono considerati dalla cultura maschile come proprietà di cui disporre a piacimento. La violenza più feroce si scatena quando le donne non accettano più di essere oggetti al servizio dei bisogni materiali, identitari, affettivi degli uomini. Non è una malattia o qualche patologia individuale che fa agire la violenza, ma il rifiuto di riconoscere le donne come soggetti e rispettare la loro libertà.

A questo proposito abbiamo individuato come particolarmente problematiche la recente politica delle cosiddette Pari Opportunità, la legge 54 del 2006 e l’ideologia di una parte del femminismo che ha abbandonato la prospettiva della differenza in favore di una idea di uguaglianza tra i sessi astratta, cioè che prescinde dai rapporti di potere reali tra i sessi in cui le donne sono ancora svantaggiate e attivamente discriminate, negando cioè di fatto la violenza. Un’altra gravissima negazione riguarda l’essenziale differenza dei ruoli di madre e padre, anche questa finalizzata a rendere equivalenti queste figure, tanto più grave perché fatta a danno degli essenziali bisogni dei minori che vengono semplicemente cancellati come individui e sacrificati sull’altare dell’ideologia astratta della parità e della c.d. bigenitorialità, quella appunto sancita dalla legge 54.

La negazione del legame materno come radice di tutti gli altri legami sociali che i bambini svilupperanno a partire da quella comunemente conosciuta come “base si sicura”, ha prodotto una violenza inaudita contro i bambini e il legame materno stesso è stato ridefinito dalla psicologia giuridica addirittura come una sorta di psicopatologia, la famosa “simbiosi”, un pericoloso legame che va combattuto con tutti i mezzi e contro i bisogni di attaccamento sicuro dei bambini.

Il ruolo che ha nel tempo acquisito la psicologia giuridica nell’ambito delle separazioni è abnorme e discutibile, è infatti ormai sistematico il ricorso dei giudici alle consulenze tecniche d’ufficio che svolgono improprie valutazioni sulle capacità genitoriali invece di valutare i fatti, unico elemento che deve essere valutato in ambito giudiziario. I fatti invece nei procedimenti di affidamento dei figli vengono sistematicamente ignorati e ne vengono costruiti di alternativi proprio ad opera delle consulenze tecniche d’ufficio i cui specialisti condividono l’ideologia paritaria astratta e riducono il fenomeno della violenza contro bambini e donne a mera conflittualità genitoriale. In particolare gli psicologi giuridici vengono formati a considerare il legame materno come il più pericoloso sintomo di quella che è ormai conosciuta sotto il nome di “alienazione parentale” (costrutto che fa leva sulla diffusa misoginia contro le donne che sono madri).

Paradossalmente quanto più i bambini vengono minacciati di essere separati dalle loro madri, tanto più rispondono con un sano comportamento di attaccamento sicuro ad esse in una situazione di pericolo e quindi, come in una profezia che si autodetermina, le madri sono accusate di un reato inesistente nel nostro ordinamento (quello appunto di essere alienanti e simbiotiche) e in quanto tale inattaccabile una volta formulata l’accusa/diagnosi che diviene sistematicamente una sentenza inappellabile poiché i giudici hanno completamente demandato il loro ruolo a tali consulenti

Quello che succede negli spazi neutri ed incontri protetti dove le madri devono condurre bambini, che mostrano tutti i chiari sintomi di paura e angoscia solo all’idea di incontrare i loro padri, è degno solo del sadismo o di chi pensa veramente che gli affetti e le relazioni si possano imporre per legge e con la forza.

La madre che cercherà di proteggere i propri figli e che continuerà a denunciare violenze e busi di potere verrà punita con la sottrazione dei figli in un corto circuito giudiziario senza precedenti.
La prospettiva adultocentrica della Legge 54 del 2006 ha trasformato i minori in oggetti di spartizione a prescindere dai loro bisogni di crescita (e quindi diversi nel tempo) e nei procedimenti giudiziali sono direttamente le istituzioni (tutori, curatori, servizi sociali, giudici) a prendere il posto del violento minacciando la sottrazione dei bambini alle madri usandoli come oggetti di contesa e infine come accessori di pena quando vengono allontanati con prelievi coatti violentissimi e collocati in comunità o direttamente con il padre che temono senza che possano più vedere la madre se non poche ore e sotto sorveglianza e a discrezione arbitraria dei servizi sociali.

La negazione dell’ancora potente e feroce cultura patriarcale che caratterizza il nostro paese, e che è purtroppo testimoniata dai numeri della violenza domestica, ha fatto sì che questo teorico ed astratto principio di uguaglianza si consolidasse in una macchina infernale di oppressione delle vittime di violenza domestica che sono, per più dell’80%, anche madri di famiglia. Una macchina contro la quale nulla possono gli avvocati di queste donne le quali infatti si trovano a dover affrontare, con costi umani ed economici esorbitanti, anni e anni di procedimenti nei quali per quante prove ed evidenze dei fatti possano portare ne usciranno sempre perdenti e con i bambini affidati al violento di turno a cui invece sarà bastata la parola per essere creduto, considerato che perfino uomini condannati in giudicato per le violenze possono tranquillamente rivendicare il loro diritto di proprietà sulle ex-compagne per il tramite appunto della paternità riconosciuta come essenziale e di diritto a priori.. Una cosa è sicura, i buoni padri di famiglia non costringono con la forza i propri cari e non chiedono di rinchiudere i figli in casa famiglia per deprogrammarli e allontanarli dalla madre, semplicemente ne capiscono le esigenze e collaborano, mettendosi loro stessi in discussione, alla soluzione dei problemi e non a rivendicare diritti di proprietà sui figli con la forza.

Chiediamo pertanto la riforma radicale della legge 54 del 2006, la messa al bando definitiva e immediata di concetti come alienazione parentale e suoi sinonimi quali madre malevola, simbiotica, madre in conflitto di lealtà e di essere ascoltate e ricevute dal Ministro Bonafede che deve rispondere delle numerose segnalazioni di casi di malagiustizia e violazione dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione fatte direttamente dalle madri e anche per tramite di 20 interpellanze parlamentari promosse dalla Onorevole Giannone sul tema e che in gran parte sono state ignorate e soprattutto intervenire perché si interrompa questo massacro giudiziario di madri e figli indegno di un paese che voglia continuare a definirsi civile.

COMITATO MADRI UNITE CONTRO LA VIOLENZA ISTITUZIONALE

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