COMUNICATO STAMPA DEL 28 SETTEMBRE 2019


Oggi 28 settembre 2019 era prevista una manifestazione contro il famigerato DDL Pillon.
Chi aveva organizzato la manifestazione, a seguito dei recenti cambiamenti nella sfera politica del nostro paese, ha deciso di "sospendere" detta manifestazione dimostrando di fatto di ignorare o di non tenere degno di considerazione il fatto che il DDL Pillon non avrebbe dato inizio a nulla ma avrebbe rappresentato solo un peggioramento di una situazione tuttavia già molto grave e capillarmente diffusa nel nostro sistema giustizia e all’interno dei Servizi sociali che ha preso sempre più piede a partire dall’approvazione della Legge 54/2006 sull’affido condiviso che, basandosi sul principio della "bigenitorialità obbligatoria", sta condannando da anni bambini e madri non solo a contatti costanti e obbligati con uomini violenti ma anche ad una feroce e sistematica violenza istituzionale.

Appare sconcertante il silenzio, anche mediatico e degli organi di stampa nazionali, relativo a questa tematica.
Come Comitato con riferimento alla Legge 54 del 2006 sull’affidamento condiviso DENUNCIAMO le conseguenze nefaste della sua applicazione che si è tradotta in un feroce sistema che condanna i bambini e le donne ad una sistematica “Violenza Istituzionale” e dunque rivittimizzazione, indegna di un paese che si definisca democratico e civile.

L’ideologia della bigenitorialità obbligatoria sottesa a questa legge e il suo strumento di applicazione – ovvero il costrutto ascientifico dell’Alienazione parentale (ex PAS) - hanno costituito una macchina da guerra elevata a sistema su tutto il territorio nazionale, ripristinando, di fatto la violenza del principio patriarcale della Patria Potestà.
La Legge 54/2006, infatti, parte dall’assunto del tutto sbagliato che vi sia alla base della nostra società una realtà di fatto inesistente e cioè quella che prevedrebbe la parità delle condizioni socio-economiche tra uomini e donne e il desiderio/volontà degli uomini di farsi carico della famosa metà del lavoro di cura dei figli e domestico mentre ricordiamo che in Europa rimaniamo stabilmente il paese fanalino di coda con la forbice più larga di tempo speso tra uomini e donne nel lavoro domestico e di cura dei figli.

Altri presupposti della Legge 54/2006, i più gravi per bambini e donne, sono risultati essere la totale negazione della diffusa violenza contro le donne e contro i bambini (anche assistita nel caso di questi ultimi) e la supposta equivalenza tra le figure dei genitori. Viene completamente ignorato quindi il fatto che la cultura dominante nel nostro paese è ancora fortemente di stampo patriarcale e che la violenza che ne deriva, declinata in tutte le sue forme - fisica, psicologica, economica, assitita- è sostanzialmente maschile: sono infatti uomini gli autori della stragrande maggioranza dei crimini contro l’infanzia e le donne e questa è cronaca ormai quotidiana nel nostro paese.

La Legge 54/2006 si è rivelata, così, un potente strumento di controllo e limitazione della libertà della vita di madri e bambini, costretti entrambi ad essere “supervisionati” in tutti gli aspetti della loro vita quotidiana e limitati a volte perfino nei più elementari diritti di cittadinanza nonché della libertà personale e di autodeterminazione, e considerato inoltre che, nelle diffuse situazioni di violenza domestica, i dati sulla possibilità che donne e bambini siano ritenuti degni di credibilità e riescano a dimostrare, dopo le denunce, le violenze patite ad opera di padri, o altri rappresentanti maschili, è pressoché nulla, come inefficaci e spesso anche ingiuste le misure di tutela poste a loro disposizione.

Questi uomini tuttavia vengono poi sistematicamente considerati nell’ambito delle separazioni “comunque padri” anche quando violenti e inadeguati e quindi imposta la relazione con loro a bambini e madri; la violenza domestica viene interpretata e ridefinita come mera conflittualità di coppia (le cosiddette “separazioni conflittuali”) dagli operatori giuridici e sociali e tutto l’apparato istituzionale è a quel punto finalizzato al ripristino obbligatorio della relazione con questi padri violenti/inadeguati e spesso - e a ragione - rifiutati dai figli, la cui violenza/inadeguatezza nella stragrande maggioranza dei casi non viene minimamente riconosciuta e valutata mentre a volte è erroneamente intesa come malattia da curare e non come un consapevole esercizio e abuso di un potere.

L’applicazione della cosiddetta “bigenitorialità obbligatoria” viene perseguito nei Tribunali attraverso un ormai sistematico ricorso alle cosiddette Consulenze Tecniche d’Ufficio (CTU) ad opera di psicologi giuridici o neuropsichiatri che minacciano madri e bambini di allontanamenti e perdita della responsabilità genitoriale se non si piegano al volere del violento, prassi ormai questa sempre più diffusa e conosciuta con il nome di “terapia della minaccia” così cara ai sostenitori dell’alienazione parentale, usando, cioè, i bambini come “accessori di pena” e la loro perdita come strumento di minaccia e coercizione verso le madri riportandole così in una condizione di violenza e prevaricazioni perfino peggiore di quella da cui avevano cercato con fatica di sottrarsi e di sottrarre i propri figli.

Attraverso queste perizie, dal contenuto altamente discutibile quando non del tutto falso ma ritenute quasi sempre valide dai Giudici che si affidano e fidano ciecamente di questi consulenti tecnici da loro incaricati, si mette in atto fin da subito una vera e propria vivisezione solo della madre e della famiglia materna (il padre e il suo contesto familiare scompaiono completamente dal procedimento e nessuna analisi/valutazione viene più fatta su di essi).

Tali perizie si traducono di fatto automaticamente in provvedimenti e decreti dei tribunali (spesso provvisori per anni e dunque inappellabili) con cui si arriva a stravolgere radicalmente la vita dei bambini e dell’intero nucleo familiare materno, dichiarando una madre inadatta su basi completamente fasulle come quella della supposta presenza di “alienazione”, considerata inesistente e ascientifica, ma ancora e sempre più applicata e del tutto accolta nei tribunali o sulla base di accuse di essere simbiotiche, in conflitto di lealtà con i figli, malevole, ostative (tutti sinonimi/alter ego questi della cosiddetta alienazione parentale).

Il risultato per le madri è l’inizio di un vero e proprio calvario giudiziario di anni e anni in cui cercheranno, nella quasi totalità dei casi invano, di difendersi dalle accuse ingiustamente mosse nei loro confronti dagli operatori vari con la conseguente messa in atto anche di una feroce violenza economica.
Più la madre cercherà di difendersi (e difendere i propri figli) e più sarà ritenuta dalle istituzioni conflittuale e ostativa innescando così un circolo vizioso e una ragnatela di eventi assurdi da cui non riuscirà più ad uscire.

La visione adultocentrica di questa legge è sostanzialmente patriarcale in quanto antepone a tutto il concetto di bigenitorialità a tutti costi così negando di fatto la centralità del legame materno come relazione primaria e fondamento di tutte le altre relazioni, anche quella paterna, e negando la violenza maschile su donne e minori.

La Legge 54/2006 di fatto nega la salvaguardia del “primario interesse del minore”, considerando i bambini come mero oggetto di spartizione tra adulti, e non un soggetto di diritto, che esige cura, rispetto, protezione e autonomia emotiva e di giudizio.

Accusate, su basi nulle, di essere madri inadeguate o addirittura malevole, le donne si ritrovano rivittimizzate e giudicate pericolose alla crescita di figli che hanno partorito e adeguatamente cresciuto ed educato fino a quel momento con immensi sacrifici e in grande solitudine (sia affettiva che economica).

Dichiarate improvvisamente pazze, schizofreniche, psicotiche, simbiotiche, fragili, istrioniche alienanti e ostacolative e dunque inadeguate alla crescita dei figli queste donne vengono punite con l’allontanamento forzoso dei bambini da loro a causa di queste perizie psicologiche e psichiatriche che oltre ad attingere a piene mani nei pregiudizi di genere, operano nell’ottica di ristabilire l’unico ordine che questa società concepisce: quello del controllo patriarcale.

Ciò che davvero succede nei Tribunali italiani, purtroppo, oggi è scarsamente conosciuto ed è per questo che diventa necessaria la denuncia pubblica del perché il nucleo della violenza contro donne e minori, che diventa istituzionale, non verrà mai fermato se non si inizia a promuovere una capillare campagna di contro-informazione per l’opinione pubblica e di formazione per chi lavora in questi ambiti.

Chiediamo dunque:

- l’interruzione immediata di questa “macelleria istituzionale” contro bambini e donne che viene agita all’interno dei Tribunali italiani;

- una radicale revisione e modifica della legge 54/2006 che oggi, a causa del concetto di bigenitorialità obbligatoria, vede rivittimizzati in maniera costante e feroce i bambini e le loro mamme;

- l’applicazione e il rispetto di quanto contenuto nella Convenzione di Istanbul che è legge dello Stato italiano ma ancora oggi completamente ignorata e disapplicata in tutti i Tribunali;

- l’abolizione delle Consulenze Tecniche d’Ufficio nei procedimenti civili per l’affidamento dei figli o meglio un loro utilizzo assolutamente residuale e limitato a casi gravissimi e supportati da prove certe e inconfutabili e oltre ogni ragionevole dubbio e non certamente per ricercare in maniera ossessiva, come oggi avviene, il costrutto ascientifico dell’Alienazione parentale-genitoriale e suoi concetti affini/sinonimi. L’eventuale rifiuto di un minore a frequentare un genitore inadeguato/violento non può e non deve avere come conseguenza l’allontanamento coatto del minore stesso dal genitore protettivo e accudente, quasi sempre la madre, per un collocamento nelle case famiglia a cui consegue poi un affidamento esclusivo proprio al genitore rifiutato (con contatti scarsi e più spesso nulli con la madre) o di cui i minori hanno paura andando così a minare completamente ed irrimediabilmente la salvaguardia del benessere psico-fisico dei minori e il loro sano sviluppo;

- il rispetto del “maggiore interesse del minore” come previsto da tutte le convenzioni internazionali il che implica dare considerazione ai suoi bisogni di sicurezza e protezione e quindi considerazione al legame materno;

- che il punto di partenza di qualunque politica su questo tema parta dalla considerazione realistica, come le cronache ci dimostrano, che gli autori della diffusa violenza contro bambini e donne sono uomini e che la violenza è un problema relativo al potere tra i sessi e non una malattia da curare;

- che il cuore della politica sia rappresentato dalla tutela del legame materno dal quale discendono non solo la sicurezza e la salute delle sue cittadine, e quindi di tutti, ma anche della futura cittadinanza di questo paese quindi in vincolo di tutti nei confronti delle future generazioni.

- L’interruzione immediata della violenza istituzionale a cui donne e minori vengono sottoposti e l’istituzione immediata di una commissione parlamentare che verifichi i casi di allontanamento di minori dalla madre immotivati ovvero basati su perizie imperniate sul costrutto ascientifico dell’alienazione parentale o concetti similari quali legame simbiotico, madre malevola, madre ostativa, conflitto di lealtà, eccetera.

- Che sia finalmente e chiaramente reso illegale il concetto di alienazione genitoriale-parentale (e concetti similari ad esso strettamente collegati o di fatto suoi sinonimi) e dunque che venga radiato, sospeso o pesantemente sanzionato, dall’ordine professionale qualsiasi professionista (psicologo, psichiatra, neuropsichiatra, assistente sociale) si ostini ad utilizzarlo contro donne e bambini come oggi avviene nei tribunali.

COMITATO MADRI UNITE CONTRO LA VIOLENZA ISTITUZIONALE

 

COMITATO MADRI UNITE CONTRO
LA VIOLENZA ISTITUZIONALE

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